Misure in vivo REM



La soddisfazione del paziente che si reca al centro audioprotesico è determinata dalla capacità dell’audioprotesista di comprendere le sue segnalazioni (ad esempio: sento troppo forte, sento l’eco, sento rimbombo, la voce è metallica, sento un fischio…) e sapere prontamente modificare le regolazioni dell’apparecchio per venire incontro alle sue esigenze.

In una regolazione (fitting) convenzionale di un apparecchio acustico, cioè senza ricorrere al supporto di un sistema REM (Real Ear Measurament) per le misurazioni in vivo, l’audioprotesista applica il guadagno necessario raccomandato da una delle formule prescrittive (regola di target), che viene calcolato in rapporto ad un orecchio standard per popolazione di genere e di età, senza tenere conto dell’anatomia soggettiva dell’orecchio che varia comunque di persona in persona. In altre parole vengono presi in considerazione solo dati quali la soglia audiometrica, l’età del paziente, la sua abitudine precedente all’uso e tutta una serie di altri parametri legati alla tecnologia di cui l’apparecchio acustico è dotato, senza valutare se effettivamente al timpano arrivi davvero il guadagno raccomandato dalla regola di target.

Con un sistema REM di misurazione in vivo l’audioprotesista ha la possibilità di valutare in ogni singola applicazione, la reale risposta dell’apparecchio acustico misurandone il suono in uscita proprio all’interno del condotto uditivo poco prima del timpano.

L’ECCELLENZA DEL FITTING

Questo sistema è l’unico che permette di valutare le reali prestazioni dell’apparecchio acustico andando a tenere in considerazione tutte quelle variabili soggettive legate all’unicità di ogni orecchio che interferiscono e determinano, spesso anche pesantemente, la reale risposta di un apparecchio: tipicamente la struttura del padiglione auricolare, la forma e la lunghezza del condotto uditivo esterno e il tipo di accoppiamento acustico tra apparecchio e condotto uditivo.  

Quello che succede nella maggioranza delle applicazioni audioprotesiche è che l’adattamento degli apparecchi acustici viene definito personalizzato per il solo fatto che la casa produttrice degli apparecchi stessi, in rapporto all’audiometria inserita nel software di fitting, propone già automaticamente una taratura delle diverse frequenze basandosi su un campione standard di popolazione. Ma non è detto che questa si adatti al singolo individuo in modo ottimale. Le esigenze di adattamento infatti sono diverse, dato che ogni orecchio è un caso a sé e richiede aggiustamenti specifici e su misura. Il concetto di personalizzazione, dunque, è ben più profondo e va perseguito in altro modo.  

Ecco dunque emergere la differenza tra una regolazione (fitting) convenzionale ed una “moderna” con misurazioni in vivo attraverso un sistema REM. Ed ecco la differenza tra un audioprotesista “antico” ed uno “moderno”: che non ha nulla a che vedere con una questione anagrafica, ma semplicemente con una apertura mentale di vedute, con un continuo mettersi in gioco e con una capacità e volontà di sfruttare tutti i mezzi che la tecnologia, la strumentazione e le conoscenze attuali offrono. 

Come abbiamo imparato nel corso degli anni, la tecnologia negli apparecchi acustici è in continua evoluzione ed offre prodotti sempre più precisi e confortevoli. Anche il metodo di applicazione nel corso del tempo deve necessariamente evolversi per sfruttare al meglio le risorse che gli apparecchi acustici offrono al paziente e all’audioprotesista stesso.  

Eseguire il fitting in funzione del target è un ottimo punto di partenza per la procedura di verifica, che rimane poi l’unica vera depositaria di verità e il parametro d’elezione per una valutazione complessiva del fitting. La misurazione in vivo rappresenta l’unico modo per valutare le prestazioni reali di un apparecchio acustico e dell’auricolare, in funzione dello specifico paziente. Nello stesso tempo, è ragionevole convenire sul fatto che gli Audioprotesisti non debbano “raggiungere ad ogni costo il target”, qualora la risposta ed il parere del paziente indichino altrimenti.  

Anche in ambito pediatrico, dal momento che i bambini il più delle volte non sono in grado di fornire una risposta soggettiva, attribuire maggiore importanza al raggiungimento del target prescrittivo è sicuramente un approccio doveroso e molto appropriato.  

Riassumendo, le motivazioni per adottare la misurazione REM come parte integrante della procedura di fitting sono:  

• Le possibili significative differenze risultanti da una misurazione effettuata con accoppiatore e una effettuata in vivo  

• I maggiori benefici per il paziente in presenza di un appropriato raggiungimento del target

LA LETTERATURA

Sono ormai numerosi gli studi e autorevoli le testimonianze che nello stilare un protocollo di Best fitting audioprotesico non possono fare a meno di inserire tra i punti fondamentali il ricorso alle misure in vivo REM.

Il guadagno d’inserzione in vivo differisce da quello con accoppiatore 2cc per valori che si sono dimostrati clinicamente rilevanti. Esiste anche un’evidenza scientifica, frutto del lavoro di Hawkins e Cook, che dimostra come il guadagno dell’apparecchio acustico prescritto dal primo algoritmo di fitting del produttore, differisca dai target generati dalle logiche prescrittive, in alcuni casi estremi anche oltre 15 dB su alcune frequenze.

Uno studio condotto nel Regno Unito nel 2020 conferma un incremento del livello di soddisfazione di quasi il 20% passando da un fitting tradizionale a un fitting basato su misure REM.

Un recente studio italiano su un gruppo di 48 pazienti protesizzati con apparecchi acustici di case diverse e di livello tecnologico diverso ha valutato le misure in vivo al fine di provare la loro validità per una taratura finale degli apparecchi acustici sempre più precisa e per capire quanto la risonanza del condotto possa essere determinante nella resa finale del beneficio protesico. I pazienti sono stati prima protesizzati semplicemente impostando le regolazioni secondo il fitting standard della casa madre. Sono stati quindi sottoposti a prove oggettive di valutazione, quali le rilevazioni audiometriche tonali e vocali, e ad un questionario di valutazione soggettivo composto da 10 domande riguardanti l’udibilità nelle varie situazioni e l’eventuale presenza di suoni fastidiosi o troppo amplificati.

Terminata la batteria di prove i pazienti sono stati nuovamente protesizzati con gli stessi dispositivi ma mediante regolazione ottenuta grazie alle misurazioni in vivo. Le stesse prove oggettive e soggettive sono state riproposte al campione di pazienti.

Quello che è emerso è che da un punto di vista oggettivo le differenze sono leggere, a volte quasi impercettibili: non si sono infatti misurati significativi scostamenti a livello di audiometria tonale e vocale in campo libero. Il vero risultato di questa ricerca è che quasi il 90% degli esaminati, a fronte di un leggerissimo miglioramento della propria capacità uditiva, ha affermato che il livello di comfort ottenuto era decisamente più alto, soprattutto in situazioni ambientali rumorose. Gli stessi pazienti hanno riferito di sentirsi molto più sicuri con i loro apparecchi in seguito alle modifiche fatte.

LO STATO DELL’ARTE

Purtroppo però vi sono anche ricerche dalle quali emerge che in particolare in prima protesizzazione più di un terzo degli audioprotesisti non utilizza procedure oggettive di verifica del fitting protesico, quali le misure in-vivo, preferendo a queste ultime la regolazione automatizzata del software o l’utilizzo di parametri di verifica soggettivi. Secondo Scimemi/Borghi, 2105, “Utilizzo delle misure in-vivo (REM/PMM)”, l’investimento in termini di tempo da parte dell’Audioprotesista per eseguire le misure oggettive è ripagato, oltre che dalla soddisfazione del cliente, anche dalla riduzione del numero degli appuntamenti e del counseling. Risulta evidente – concludono i ricercatori – quale possa essere l’entità della discrepanza tra i valori di REAR misurati e quelli stimati dal software, indipendentemente dall’accoppiamento acustico utilizzato. Tale discrepanza è indice della distanza che corre tra un fitting approssimativo e il cosiddetto best fitting audioprotesico, corrispondente alla differenza tra un paziente scontento e uno soddisfatto dei propri apparecchi acustici e del lavoro effettuato dall’audioprotesista.” 

Sono molti gli audioprotesisti che per prassi non eseguono le prove in vivo e diverse sono le motivazioni apportate per giustificarsi: prima tra tutte il fatto che esse richiederebbero troppo tempo. In realtà, una volta che ci si è impadroniti del protocollo il tempo necessario per eseguire correttamente le prove non richiede più di 3-5 minuti per orecchio (Ross, 2012). Senza contare che un corretto fitting iniziale riduce drasticamente del 45-50% la necessità di visite ulteriori post-fitting. 

Altri audioprotesisti sostengono superfluo l’uso delle misure in vivo vantando anni e anni d’esperienza di fitting senza far ricorso a specifiche prove in vivo, semplicemente facendo affidamento sul fitting standard a cura dell’azienda produttrice. Atteggiamento piuttosto superficiale, non avendo dati inoppugnabili e non disponendo di una prova oggettiva per essere così sicuri di aver realmente ottimizzato l’adattamento degli apparecchi acustici all’orecchio del paziente. Sempre secondo Ross “Seguendo l’algoritmo dell’azienda produttrice si arriva nelle vicinanze, ma non all’indirizzo esatto! E il paziente vuole invece arrivare esattamente a destinazione”.

In realtà una delle barriere maggiori al mancato ricorso alle misure in vivo è il timore da parte dell’audioprotesista di dover introdurre il sondino nell’orecchio del paziente, condizione necessaria per l’effettuazione della procedura di misurazione stessa. Ma l’unico modo per acquisire dimestichezza nella tecnica è quello di far pratica: insomma proprio un gatto che si morde la propria coda.  

Insomma, a conclusione di tutte le riflessioni fatte e come emerge da una recente ricerca sulla pratica quotidiana messa in atto dagli Audioprotesisti di tutta Italia, “Procedure di regolazione protesica e verifica oggettiva del fitting: survey sulla pratica audioprotesica nel soggetto adulto in Italia”, finisce spesso che l’audioprotesita non faccia affidamento su criteri oggettivi per verificare gli eventuali miglioramenti ottenuti dal paziente grazie agli apparecchi acustici. Non utilizza l’orecchio elettronico e le misure in-vivo, che pure ha a disposizione, o dovrebbe avere, ma si limita a chiedere al paziente, se ci sente meglio di prima.

Mobirise

LA PRATICA

Le prove “in-vivo” (fatte cioè sull’orecchio del paziente) sono il metodo più efficace attualmente esistente per verificare che cosa un apparecchio acustico eroghi a livello del timpano.  

Sono anche l’unico mezzo che si ha per verificare se l’apparecchio eroga il guadagno teorico previsto dalle formule prescrittive matematiche che vengono utilizzate.  

Si parte dalla scelta del metodo prescrittivo più corretto oppure si sceglie di affidarsi all’algoritmo proprietario della casa dell’apparecchio acustico. Viene impostato sull’analizzatore e, secondo la strumentazione usata e in base alle sue caratteristiche, è poi necessario effettuare la taratura e la calibrazione del sistema. A questo punto si parte con le misure vere e proprie (Veronese/Piatto, 2108, “REM e fitting di apparecchi acustici”), rilevando la risonanza del condotto a orecchio libero.  

Per far ciò si posiziona il tubicino sonda nel condotto a una distanza di circa 4/5 mm dal timpano: l’altoparlante emette uno stimolo a 70 dB SPL, solitamente rumore rosa, e vengono rilevate le misure unaided, che quantificano l’amplificazione naturale garantita dal condotto uditivo, senza l’ausilio di alcun apparecchio acustico. La risonanza del condotto REUR (Real Ear Unaided Response) oppure la REUG (Real Ear Unaided Gain) vengono memorizzate dallo strumento perché servono per le elaborazioni successive.  

Si indossa poi l’apparecchio acustico funzionante al paziente, mantenendo fermo il tubicino sonda nel condotto uditivo tra la parete del condotto e l’accoppiamento acustico. Si seleziona il tipo e l’intensità degli stimoli da far emettere all’altoparlante di test, tipicamente dei segnali speech-like, costruiti così che il loro contenuto frequenziale simuli quello del parlato reale. Procedendo si acquisiscono le cosiddette misure aided di REAR (Real Ear Aided Response) o REAG (Real Ear Aided Gain): sono i segnali che rappresentano l’intensità dello stimolo che arriva al timpano dopo essere stato amplificato dal condotto uditivo e dall’apparecchio acustico. E’ opportuno che l’audioprotesista esegua le misure per le diverse intensità di stimolo che i software di fitting associati agli apparecchi acustici propongono, generalmente tre: 50, 65 e 80 dB SPL. E’ questa la fase più importante della seduta di verifica del fitting, durante la quale si esegue la regolazione dei guadagni dell’apparecchio, cercando di portare le curve misurate ad essere il più possibile sovrapponibili alle curve target calcolate dall’algoritmo prescrittivo inizialmente selezionato.
Terminata questa fase, se il paziente lamenta un ascolto non ideale, si può ancora intervenire sui controlli dell’apparecchio modificandoli fino a ottenere il risultato soggettivamente ideale per lui e poi riverificare cosa le modifiche hanno significato a livello del timpano.

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